Ricorso  della  provincia  autonoma  di  Trento,  in  persona   del
 presidente  della  giunta  provinciale Gianni Bazzanella, autorizzato
 con delibera della giunta provinciale n. 11970 del  27  agosto  1993,
 rappresentata e difesa dagli avvocati prof. Valerio Onida e Gualtiero
 Rueca,  ed  elettivamente  domiciliata  presso  quest'ultimo in Roma,
 largo  della  Gancia, 1, come da mandato speciale a rogito del notaio
 dott. Pierluigi Mott di Trento in data 30 agosto 1993,  n.  59034  di
 rep., contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore per
 la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1, primo,
 terzo,  quarto  e  quinto comma, dell'art. 2, primo, secondo e quinto
 comma, e degli artt. 3, 4, 5 e 10 del d.lgs. 30 giugno 1993, n.  270,
 pubblicato  nella Gazzetta Ufficiale n. 68 del 3 agosto 1993, recante
 "Riordinamento degli istituti zooprofilattici sperimentali,  a  norma
 dell'art.  1,  primo comma, lett. h), della legge 23 ottobre 1992, n.
 421".
    L'art. 1, primo comma, lett. h), della legge 23 ottobre  1992,  n.
 421,  in  vista  della  razionalizzazione  e  della  revisione  della
 disciplina sanitaria, e allo scopo di "rendere piene ed effettive  le
 funzioni   che  vengono  trasferite  alle  regioni  e  alle  province
 autonome", ha delegato al Governo l'emanazione - entro il  30  giugno
 1993 - di norme per la riforma del Ministero della sanita' nonche' di
 vari  istituti  sanitari,  fra  i  quali gli istituti zooprofilattici
 sperimentali. Lo stesso art. 1, primo comma, lett.  z),  della  legge
 cit.  stabilisce  inoltre  che  "restano  salve  le  competenze  e le
 attribuzioni delle  regioni  a  statuto  speciale  e  delle  province
 autonome di Trento e di Bolzano".
    Tale delega ha trovato attuazione con il d.lgs. 30 giugno 1993, n.
 270, ma varie disposizioni di tale decreto - ponendosi tra l'altro in
 contraddizione  con  la  direttiva  contenuta nella delega, che esige
 siano rese "piene ed effettive" le funzioni trasferite alle regioni e
 alle province autonome, e fa salve le competenze  e  le  attribuzioni
 delle  regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento
 e  Bolzano  -  risultano  lesive  delle  competenze  garantite   alla
 provincia  autonoma di Trento dall'art. 8, n. 21, dall'art. 9, n. 10,
 e  dall'art.  16  del  d.P.R.  31  agosto  1972,  n.   670,   recante
 "Approvazione  del testo unico delle leggi costituzionali concernenti
 lo statuto speciale per il Trentino-Alto  Adige",  e  delle  relative
 norme  di  attuazione,  e  in  contrasto altresi' con l'art. 76 della
 Costituzione.
    E' da notare, innanzitutto, che l'art. 1, primo comma, del decreto
 legislativo  in  questione  definisce  gli  istituti  zooprofilattici
 sperimentali  come enti strumentali sia dello Stato che delle regioni
 o delle province autonome "per le materie di rispettiva competenza".
    Cio'  significa  che  gli  istituti  zooprofilattici  sperimentali
 vengono,   sia  pur  parzialmente  "ristatalizzati",  attraverso  una
 normativa che si pone irrazionalmente in controtendenza rispetto alla
 legislazione  previgente,  e  che  determina   conseguentemente   una
 rilevante compressione nelle competenze amministrative regionali.
    In  effetti,  l'originaria  legge  23  giugno  1970,  n.  503, era
 chiarissima nell'inserire gli istituti  zooprofilattici  nel  sistema
 amministrativo  statale:  essa  definiva gli istituti zooprofilattici
 come "enti sanitari  dotati  di  personalita'  giuridica  di  diritto
 pubblico e sottoposti alla vigilanza del Ministero della sanita'", ed
 attribuiva  allo  stesso Ministero la potesta' di impartire direttive
 tecniche e di coordinarne il funzionamento,  sebbene  "attraverso  le
 regioni".
    La  successiva legge 23 dicembre 1975, n. 745 - significativamente
 intitolata "Trasferimento di funzioni statali alle regioni e norme di
 principio  per  la  ristrutturazione  regionalizzata  degli  Istituti
 zooprofilattici  sperimentali"  - preciso' innanzitutto (art. 12) che
 in relazione all'istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie,
 ed  agli  effetti  delle  disposizioni dettate dalla legge stessa, le
 province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano   dovevano   ritenersi
 parificate alle regioni. Tale legge trasferi' in effetti alle regioni
 (e  alle  province  autonome)  tutte  le funzioni amministrative gia'
 esercitate in materia dello Stato, precisando che le stesse regioni e
 province avrebbero dovuto emanare norme legislative  e  regolamentari
 per  la  strutturazione  e  gestione  degli  istituti  (art. 1, primo
 comma); stabili' che fosse  la  legge  regionale  (o  provinciale)  e
 fissare  le attribuzioni, la composizione, la nomina, la durata della
 carica, le incompatibilita' i casi di sostituzione e di  scioglimento
 dei   consigli   di   amministrazione   degli  istituti,  nonche'  le
 attribuzioni e la durata in carica dei loro presidenti e  delle  loro
 giunte  esecutive  (art. 1, secondo comma); stabili' ancora che, pure
 con legge  regionale  (o  provinciale),  si  potessero  prevedere  le
 modalita'  per la gestione comune degli istituti interregionali (art.
 1, terzo comma); previde che la funzione di vigilanza e di  controllo
 sugli  istituti  zooprofilattici  sperimentali fosse esercitata dalle
 regioni in cui gli istituti stessi hanno sede, sul chiaro presupposto
 che tali istituti facessero ormai parte  del  sistema  amministrativo
 regionale  e  si  dovessero  anzi qualificare come veri e propri enti
 strimentali delle regioni e delle province autonome.
    Del resto, la provincia autonoma di Trento ha non solo  competenza
 "ripartita"  in  materia  di  igiene  e sanita' (art. 9, n. 10, dello
 stat. spec.) ma anche competenza primaria in materia  di  "patrimonio
 zootecnico  ed  ittico"  (art.  8,  n. 21, dello stat. spec.); e tali
 competenze sono state effettivamente ad essa trasferite  dalle  rela-
 tive norme di attuazione (d.P.R. 22 marzo 1974, n. 279, in materia di
 agricoltura  e  foreste;  d.P.R.  28  marzo 1975, n.474, e successive
 modificazioni e integrazioni).
    A sua volta l'art. 27,  primo  comma,  lett.  l),  del  d.P.R.  n.
 616/1977  (le  cui  norme  di  trasferimento  di  funzioni sono state
 estese, in quanto necessario, alla provincia autonoma dal  D.P.R.  19
 novembre 1987, n. 526) ha chiarito che tra le funzioni amministrative
 relative  alla  materia  "assistenza sanitaria" - da trasferirsi alle
 regioni  -  rientrano  quelle  tendenti  "all'igiene   e   assistenza
 veterinaria, ivi compresa la profilassi, l'ispezione, la polizia e la
 vigilanza  sugli  animali  e  sulla loro alimentazione, nonche' sugli
 alimenti di origine animale". A sua volta,  l'art.  66  dello  stesso
 d.P.R.  n.  616/1977,  chiari'  che  tra  le  funzioni amministrative
 comprese nella materia "agricoltura e foreste" - allo stesso modo  da
 trasferire  alle regioni - rientrano quelle attinenti alle "attivita'
 zootecniche" (primo comma), e  in  particolare  al  "miglioramento  e
 all'incremento  zootecnico",  al "servizio diagnostico delle malattie
 trasmissibili degli animali e delle zoonosi, la gestione  dei  centri
 di fecondazione artificiale".
    Non  sussistevano  dunque  e  non sussistono piu' competenze dello
 Stato in ordine agli istituti zooprofilattici o negli ambiti  in  cui
 tali   istituti   operano,   tali  da  poter  giustificare  la  nuova
 affermazione di una "strumentalita'" di detti istituti nei  confronti
 dello  Stato  oltre  che delle regioni, "per le materie di rispettiva
 competenza", come si esprime  l'art.  1,  primo  comma,  del  decreto
 impugnato.
    Il  d.lgs.  30  giugno  1993,  n.  27,  segna  un netto ritorno al
 passato.  All'art.  10  di  tale  decreto  si  prevede  espressamente
 l'abrogazione  delle  disposizioni  della legislazione precedente che
 nel modo piu' chiaro avevano consentito la "regionalizzazione"  degli
 istituti zooprofilattici (art. 1, comma secondo, e art. 3 della legge
 23  dicembre  1975,  n.  745  cit.)  e  all'art. 1, comma primo, essi
 vengono  definiti,   come   gia'   ricordato,   "strumenti   tecnico-
 scientifici" anche dello Stato, oltre che delle regioni e delle prov-
 ince  autonome,  mentre  al secondo comma si prevede che essi operino
 "nell'ambito del Servizio sanitario nazionale".
    Al quinto comma dello stesso art. 1 si  prevede  che  il  Ministro
 della  sanita' coordini gli attuali compiti degli istituti con quelli
 previsti dalle disposizioni non abrogate delle  leggi  precedenti,  e
 cio'  faccia  con un regolamento ministeriale, solo "d'intesa" con la
 conferenza permanente per i rapporti Stato-regioni.  Non  e'  affatto
 chiaro,  fra  l'altro,  come  dovrebbe esplicarsi tale coordinamento,
 posto che l'art. 4 della legge n.  745/1975  -  relativo  proprio  ai
 compiti degli istituti zooprofilattici - risulta interamente abrogato
 dall'art. 10 del decreto legislativo in questione.
    Anche  per  altra via il decreto legislativo in questione consente
 una diretta  e  costituzionalmente  illegittima  riappropriazione  di
 competenze  da  parte dello Stato. Infatti, all'art. 1, quarto comma,
 si  prevede  un  elenco  unico  delle   competenze   degli   istituti
 zooprofilattici,  senza  precisare  se  tali  attribuzioni  siano  di
 pertinenza   regionale   o   interregionale   ovvero   statale.   Ben
 diversamente  stabiliva la precedente legge 23 dicembre 1975, n. 745,
 la quale, dopo aver precisato (art. 2) le competenze statali  residue
 nella  materia  zoosanitaria  "ai  fini  della tutela degli interessi
 generali della sanita' pubblica", aveva cura di  precisare,  all'art.
 4,  i  compiti che le regioni avrebbero dovuto affidare agli istituti
 zooprofilattici, sul presupposto che si fosse in  presenza,  appunto,
 di competenze, delle regioni medesime.
    In  definitiva gli istituti, che sotto la gestione regionale hanno
 operato in stretto raccordo col mondo agricolo  (data  la  competenza
 regionale  e  provinciale  anche  in  materia  di  agricoltura  e  in
 particolare di zootecnia), anche  articolandosi  territorialmente  in
 sezioni a diretto contatto con l'utenza pubblica e privata, rischiano
 -  con la disciplina del decreto impugnato - di essere trasformati in
 organismi periferici del Ministero della  sanita',  operanti  secondo
 indirizzi centralizzati e insensibili alle esigenze locali.
    All'art.  2, primo comma, del decreto legislativo in questione, si
 stabilisce che con atto di indirizzo  e  coordinamento,  il  Ministro
 della  sanita',  di  nuovo  soltanto  "d'intesa"  con  la  conferenza
 permanente per i rapporti tra Stato,  regioni  e  province  autonome,
 determini   "i  requisiti  minimi  strutturali  e  tecnologici  degli
 istituti" e stabilisca "i criteri organizzativi  uniformi"  ai  quali
 essi   dovranno   conformarsi,   segnando  nel  modo  piu'  netto  la
 "riappropriazione" di tali  organismi  da  parte  dello  Stato  e  la
 lesione delle competenze regionali e delle province autonome.
    Si  attribuisce  qui  il  potere di emanare un atto di indirizzo e
 coordinamento al solo Ministro della sanita', anziche' al Governo nel
 suo complesso (ovvero per delega di volta  in  volta  al  Cipe  o  al
 Presidente  del  Consiglio dei Ministri col Ministro competente) come
 prescritto dall'art. 3 della legge n. 382/1975 e  dall'art.  5  della
 legge n. 833/1978, e confermato dall'art. 2, lett. d), della legge n.
 400/1988.  Gia'  sotto  questo profilo procedurale la disposizione si
 presenta illegittima.
    Essa appare  poi  in  contrasto  con  il  principio  di  legalita'
 sostanziale. E' ben noto che questa Corte - da ultimo con la sentenza
 n. 359/1991, richiamata anche dalla recentissima sentenza n. 355/1993
 -  ha  stabilito  che  l'esercizio  in  via amministrativa del potere
 statale di indirizzo e coordinamento  dell'attivita'  regionale  deve
 essere  previsto  da  una legge statale che contenga i principi della
 disciplina,   i   quali   dovranno   fungere   da   base    normativa
 sufficientemente   precisa   per  poter  orientare  e  delimitare  la
 discrezionalita' del Governo nella determinazione degli  indirizzi  e
 delle  misure  di  coordinamento.  "Solo a tale condizione, infatti -
 prosegue la sentenza n. 359/1991 cit.  -  puo'  ritenersi  rispettato
 l'ordine complessivo delle fonti normative, poiche' in mancanza di un
 principio  di  disciplina  sostanziale  contenuto in una previa legge
 statale, si avrebbe che scelte affatto discrezionali contenute in  un
 atto   statale  sublegislativo  pretenderebbero  illegittimamente  di
 vincolare  e  di  condizionare  decisioni  da   assumere   con   atti
 legislativi (leggi regionali o provinciali)".
    Ora,  non  solo  non  c'e'  dubbio  che l'art. 2, primo comma, non
 contiene affatto i principi e gli orientamenti di massima destinati a
 limitare la discrezionalita' degli atti del Ministro della sanita'  -
 limitandosi  a  dire  che  l'atto di indirizzo e coordinamento dovra'
 mirare all'uniformita' ed omogeneita' organizzativa  degli  istituti,
 cio' che e' tautologico, giacche', ovviamente, un atto di indirizzo e
 coordinamento  per  sua  natura  non  puo'  che  mirare  ad  ottenere
 uniformita' e omogeneita'  -,  ma  addirittura  proprio  all'atto  di
 indirizzo  e  coordinamento  rimanda la determinazione dei "requisiti
 minimi strutturali" e dei "criteri organizzativi uniformi",  cui  gli
 istituti dovranno conformarsi.
    Tali  atti  di indirizzo e coordinamento finirebbero per vincolare
 l'attivita' legislativa delle regioni e delle province  autonome,  le
 quali  -  ai  sensi  del  quinto comma dello stesso art. 2 - dovranno
 disciplinare, entro il 31 dicembre  1993,  le  modalita'  gestionali,
 organizzative  e di funzionamento degli istituti, nonche' l'esercizio
 delle  funzioni  di  vigilanza  amministrativa,  di  indirizzo  e  di
 verifica   sugli   istituti  stessi:  anche  in  tal  caso,  un  atto
 sublegislativo statale, in nessun modo a sua volta fondato su criteri
 legislativamente  fissati,  pretenderebbe  di  vincolare  l'attivita'
 legislativa regionale e delle province autonome.
    Ancora,  il secondo comma dello stesso art. 2, dopo aver stabilito
 che compete allo  Stato  il  coordinamento  tecnico-funzionale  degli
 istituti  e  l'attribuzione  agli  stessi  di  compiti e funzioni "di
 interesse nazionale e internazionale",  senza  peraltro  indicare  in
 alcun  modo  in  base  a  quali  criteri  si definirebbe l'"interesse
 nazionale" di tali compiti e funzioni, prevede che il Ministro  della
 sanita'   provveda  ad  una  serie  di  compiti  assai  genericamente
 individuati  (promozione  di  programmi  nazionali  di  sorveglianza,
 iniziative  zoosanitarie di interesse nazionale, iniziative nazionali
 di formazione e aggiornamento, istituzione di centri specialistici di
 referenza nazionale e attribuzione agli stessi di compiti e  funzioni
 di  interesse  nazionale):  compiti  che  incidono  sulle funzioni di
 spettanza regionale e delle province autonome, e il cui  carattere  o
 fondamento di interesse nazionale non e' in alcun modo precisato alla
 legge  con  criteri oggettivi. Onde in pratica il Ministro si trova a
 poter discrezionalmente disporre dello  svolgimento  di  attribuzione
 nelle   materie   di   competenza  provinciale,  senza  alcuna  seria
 delimitazione di oggetto e di contenuto.
    In particolare, il Ministro provvede a "promuovere le attivita' di
 ricerca sperimentali" (lett. a)) - mentre in precedenza  "la  ricerca
 sperimentale  sulla eziologia e patogenesi delle malattie infettive e
 diffusive degli animali" faceva parte  dei  compiti  che  le  regioni
 affidavano  agli  istituti (art. 4, comma 1, lett. a), della legge n.
 745/1975). Gli istituti  zooprofilattici,  del  resto,  non  svolgono
 tanto  attivita'  di  ricerca  di  base,  intesa  come  indagine  sui
 meccanismi fondamentali di regolazione dei fenomeni biologici, quanto
 ricerca applicata, cioe' attivita'  di  sperimentazione  mirata  alla
 soluzione  di concreti problemi zoosanitari, ponendosi come strumenti
 tecnici al servizio  degli  allevatori  e  come  supporto  tecnico  e
 laboratoristico  ai  servizi veterinari delle regioni, delle province
 autonome e delle unita' sanitarie locali.
    Inoltre, tra i compiti del Ministro della sanita' si prevede (art.
 2, lett. d)) quello di "sottoporre a verifica tecnica l'attivita'  di
 produzione  di  presidi  diagnostici,  profilattici  e  terapeutici",
 nonche' quello (lett. i)) di "stabilire criteri  di  valutazione  dei
 costi  e  dei  rendimenti  e  di  verifica  della utilizzazione delle
 risorse": attivita' tutte che paiono integrare una indebita ingerenza
 nella sfera di competenza provinciale.
    In presenza  poi  dell'art.  3  del  decreto,  che  stabilisce  in
 dettaglio quale debba essere l'organizzazione interna degli istituti,
 del tutto simbolica appare la disposizione dell'art. 2, quinto comma,
 del  decreto  stesso,  la  quale  prevede che le regioni, entro il 31
 dicembre 1993, disciplinino le modalita' gestionali, organizzative  e
 di funzionamento degli istituti zooprofilattici.
    Le  disposizioni  dell'art.  3 sono infatti di estremo dettaglio e
 determinano una lesione delle competenze regionali e  delle  province
 autonome.  Del  resto,  la  consapevolezza  della  circostanza che la
 disciplina organizzativa e' stata  fornita  quasi  interamente  dallo
 Stato  traspare  dall'art.  3,  sesto  comma, dello stesso decreto in
 questione, ove si dice che le regioni adotteranno le "restanti" norme
 organizzative.
    Tra le disposizioni dell'art. 3  delle  quali  si  deve  lamentare
 l'incostituzionalita'  figura in particolare quella prevista al comma
 secondo, ove viene ripristinata la diretta  presenza  dello  Stato  -
 ancorche'  contenuta  in  proporzioni  minoritarie - nel consiglio di
 amministratori degli istituti (uno dei cinque membri del consiglio e'
 nominato dal Ministro della sanita'), nonche'  quella  contenuta  nel
 quarto comma, in cui si prevede addirittura che due su tre membri del
 collegio  dei  revisori  siano rappresentanti dei Ministeri, segnando
 anche  per  questa  via  una  preminenza  degli  organi  statali  nel
 controllo e nella vigilanza sugli istituti.
    All'art. 3, terzo comma, inoltre, la nomina del direttore generale
 dell'istituto  - che ne ha la rappresentanza legale, lo gestisce e ne
 dirige  l'attivita'  scientifica  -  e'  fatta  dalla  regione   dove
 l'istituto  ha  sede legale, ma d'intesa con la conferenza permanente
 per i rapporti tra Stato, regioni e  province  autonome,  anziche'  a
 cura della sola regione o provincia autonoma interessata, come invece
 sarebbe  costituzionalmente corretto, trattandosi di nomina presso un
 organismo che e' e resta un organismo  regionale,  strumentale  della
 regione  o  delle  regioni  e  province  autonome  interessate, e non
 dell'"insieme" degli enti che nella conferenza sono rappresentanti.
    Allo stesso modo appare lesivo delle  competenze  attribuite  alla
 provincia  autonoma di Trento l'art. 4 del decreto, che disciplina in
 maniera  dettagliata  e  vincolante  le  modalita'  di  revisione  ed
 approvazione degli statuti degli istituti.
    Una  lesione  delle  competenze  delle  regioni  e  delle province
 autonome e' da ravvisarsi altresi'  nell'art.  5,  primo  comma,  ove
 viene  rimessa  ad  un  decreto  del Ministro della sanita', soltanto
 d'intesa con la conferenza  permenente  per  i  rapporti  tra  Stato,
 regioni  e  province  autonome,  l'individuazione delle prestazioni a
 pagamento  erogate   dagli   istituti,   e   dei   criteri   per   la
 determinazione,  da  pare delle regioni e delle province, delle rela-
 tive tariffe.
    Si tratta di una  disposizione  che  vorrebbe  avere  la  sostanza
 dell'atto  di  indirizzo e coordinamento, ma non ne presenta la rela-
 tive corretta forma.  Tale  disposizione  affida  in  effetti  ad  un
 semplice   decreto  del  Ministro  una  disciplina  che,  mirando  ad
 omogeneizzare un importante  settore  di  attivita'  degli  istituti,
 dovrebbe semmai essere prevista in atti di indirizzo e coordinamento,
 adottati  secondo  la  procedura  prevista,  e  aventi  a  loro volta
 fondamento in atti legislativi contenenti i principi  di  base  della
 materia.
   Non  cosi'  accade  per  l'art.  5, primo comma, in esame, il quale
 prevede l'adozione di un semplice decreto del Ministro, in violazione
 della procedura prevista per l'emanazione  di  atti  di  indirizzo  e
 coordinamento (art. 3, della legge n. 382/1975; art. 5 della legge n.
 833/1978; art. 2, lett. d) della legge n. 400/1988), e non stabilisce
 i  principi  cui  gli atti sublegislativi statali dovranno attenersi,
 violando cosi' il principio di legalita' sostanziale.
    La lesione delle competenze regionali e delle province autonome si
 manifesta infine  nell'art.  10  del  decreto  in  questione,  ed  in
 particolare  al primo comma, ove si prevede l'abrogazione di tutte le
 disposizioni - piu' sopra ricordate - delle leggi  vigenti,  che  nel
 modo  piu'  chiaro  avevano  attribuito alle regioni ed alle province
 autonome le  funzioni  relative  agli  istituti  zooprofilattici;  si
 tratta   di  una  disposizione  che  rende  palese  la  volonta'  del
 legislatore   delegato    di    procedere    ad    una    sostanziale
 "ristatalizzazione"  della  disciplina  in  questione,  e che si pone
 percio' in  contrasto  con  le  norme  di  livello  costituzionale  e
 d'attuazione   costituzionale   che   di   quelle   stesse   funzioni
 garantiscono la spettanza alle regioni ed alle province autonome.